Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32830 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26634-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZARIO SAURO n. 16, presso lo studio dell’avvocato MACONE PIERFRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VENTURI PAOLO;

– ricorrente –

contro

R.A., rappresentato e difeso dall’avv. BAJETTO FABIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 710/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 20/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato C.M. evocava in giudizio R.A. innanzi il Tribunale di Genova per sentirlo condannare al risarcimento del danno occorso all’attore a seguito dell’allagamento del suo appartamento, e di quelli sottostanti, causato dallo sfilamento del detentore di uno dei termosifoni facenti parte dell’impianto di riscaldamento, che era stato installato dal convenuto. L’attore deduceva di aver affidato al R. la ristrutturazione di un alloggio di sua proprietà, comprensiva del rifacimento di tutti gli impianti idrici ed elettrici; che nel corso delle opere, e prima della loro consegna, si era verificato l’inconveniente di cui anzidetto; che dallo stesso erano derivati danni alle proprietà confinanti con quella di esso attore, per un importo di Euro 75.884,99; che detti danni erano da ascrivere alla responsabilità del convenuto.

Nella resistenza di quest’ultimo, il Tribunale di Genova, con sentenza n. 3055/2016, accoglieva la domanda, condannando il R. al pagamento di Euro 73.464,99 oltre accessori.

Interponeva appello il R. e si costituiva in seconde cure il C., resistendo al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 710/2019, la Corte di Appello di Genova accoglieva l’impugnazione, rigettando la domanda risarcitoria proposta dall’appellato.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.M., affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso R.A., spiegando a sua volta ricorso incidentale con due motivi, resistito da controricorso del C..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, articolato in tre distinti profili, il ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., perché il giudice di merito:

a) da un lato, non avrebbe considerato che, in base ai principi regolatori del riparto dell’onere della prova, l’attore era tenuto soltanto a provare l’esistenza del titolo e ad allegare l’inadempimento dell’appaltatore, il quale invece era tenuto a dimostrare di aver correttamente e completamente adempiuto alla propria obbligazione; la Corte di Appello, al contrario, avrebbe erroneamente posto a carico dell’attore la prova della derivazione del danno dal fatto dell’appaltatore, in tal modo invertendo, di fatto, l’onere della prova dell’inadempimento;

b) dall’altro lato, avrebbe omesso di considerare che, in materia di appalto, il committente che agisce per il risarcimento del danno è tenuto soltanto alla prova dell’evento dannoso, mentre spetta all’appaltatore l’onere di fornire la prova del corretto adempimento, che ha l’effetto di liberarlo dalla specifica responsabilità di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c.;

c) infine, non avrebbe tenuto conto che il danno si era verificato prima del collaudo delle opere, e dunque in un momento in cui l’appaltatore era responsabile del cantiere.

Con il secondo motivo, il ricorrente principale lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che il R. non aveva contestato né l’evento dannoso, né la sua riconducibilità allo sfilamento del detentore dell’impianto di riscaldamento da lui stesso eseguito.

Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono fondate.

La sentenza impugnata dà atto che dalle testimonianze escusse in prime cure era emersa la prova che “… effettivamente il 20.9.2012, quando ancora il C. non occupava l’alloggio, si è verificata la fuoriuscita di acqua dalla parte bassa di un calorifero facente parte dell’impianto realizzato dal R. (cfr. teste B., sul cap. 14), ma ciò non è (in)sufficiente per affermare che l’allagamento, ed i conseguenti danni all’immobile, siano riconducibili all’operato del R.. Nell’immediatezza di questo evento, infatti, non è stato svolto alcun ATP sull’impianto per una verifica di esso e per ricercare la causa di tale allagamento; di nessun rilievo può essere, sul punto, la perizia svolta dal geom. Baldoni che avrebbe accertato che la causa dell’allagamento sarebbe stato lo sfilamento del detentore… soprattutto perché di tratta di un mero accertamento di parte. Il C., poi, neppure risulta aver conservato il detentore, come egli avrebbe dovuto fare, in applicazione del principio della vicinanza della prova, trattandosi di un bene di sua proprietà, anche se esso venne sostituito dopo questo evento, e venne presumibilmente ritirato dal R., circostanza, peraltro, riferita dal CTU come appresa da terzi (cfr. comunicazione del 20.6.2017 del CTU all’ufficio e verbale di operazioni del precedente 8 giugno 2017 da cui risulta che il detentore oggetto del quesito non è disponibile), sicché neppure in questo grado sono stati possibili accertamento su tale apparecchio. Del resto, anche a voler ritenere come provato che vi sia stato un sfilamento del detentore, ciò ancora non basta per ricollegare tale evento ad una responsabilità del R., potendo esso dipendere dalle ragioni più disparate” (cfr. pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata). La Corte di Appello prosegue poi dando atto che la difesa del R. aveva, soltanto in appello, formulato alcune ipotesi causali per ricollegare lo sfilamento del detentore a motivi diversi dalla cattiva esecuzione dell’appalto -come ad esempio un urto durante il trasloco o l’accensione dell’impianto con eccessiva pressione dell’acqua- ed afferma che “… se è pur vero che tale ipotesi non sono state avanzate dal R. in primo grado, tuttavia, ciò è del tutto irrilevante, poiché non era onere del R. dimostrare la sussistenza di una causa del danno a sé estranea, ma sarebbe spettato al C., in base ai principi sopraesposti, fornire elementi certi per ricollegare al R. l’evento lesivo, elementi che, invece, mancano del tutto” (cfr. pagg. 7 ed 8 della sentenza).

La motivazione complessivamente resa dalla Corte distrettuale contiene alcune irriducibili contraddizioni logico-giuridiche, tali da renderla assolutamente inidonea ad assolvere alla sua funzione legale.

In particolare, una volta verificato che il danno era stato causato da un elemento dell’impianto realizzato dal R., posto che la fuoriuscita dell’acqua dal detentore era stata confermata per via testimoniale (cfr. pag. 6 della decisione impugnata), il giudice di secondo grado avrebbe dovuto considerare che spettava all’appaltatore fornire la prova liberatoria di aver eseguito il contratto a regola d’arte. Tanto più che l’evento si era verificato, pacificamente, in un momento in cui ancora non era stato eseguito il collaudo e la consegna delle opere oggetto dell’appalto, con conseguente perdurante responsabilità dell’appaltatore per la custodia del cantiere e delle opere appaltate, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1673 c.c., comma 1.

Neppure decisiva appare la circostanza, enfatizzata dalla Corte di Appello, che il detentore danneggiato e sostituito non fosse stato conservato e messo a disposizione del C.T.U. dal C.. La Corte di Appello afferma, in proposito, che l’oggetto sarebbe stato di proprietà del ricorrente, e che dunque questi avrebbe dovuto assicurare la possibilità di procedere al suo esame tecnico, in funzione del principio di prossimità della prova, ma non considera il fatto, invero decisivo, che il C.T.U. aveva riferito di aver appreso da terzi che il detentore era stato sostituito e trattenuto dal R.. Tale circostanza è idonea ad incidere in modo significativo sul regime della responsabilità delle parti del contratto di appalto, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esecuzione, da parte dell’appaltatore, di riparazioni a seguito di denuncia dei vizi dell’opera da parte del committente va interpretata come riconoscimento dei vizi stessi, con conseguente decorso ex novo del termine decennale di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20853 del 29/09/2009, Rv. 610290).

Altrettanto erronea risulta l’affermazione della Corte distrettuale, secondo cui il committente aveva l’onere di fornire la prova della diretta derivazione causale del danno dalla condotta del R., poiché la stessa Corte genovese dà atto che questi aveva proposto soltanto in secondo grado un’ipotesi causale alternativa rispetto a quella dedotta dall’attore a sostegno della domanda risarcitoria da esso proposta. Ciò implica che l’appaltatore, evocato in giudizio dal committente per il risarcimento del danno, sul presupposto che quest’ultimo derivasse dalla cattiva esecuzione dell’appalto, non aveva specificamente contestato, in prime cure, il nesso causa-effetto ipotizzato dall’attore, proponendo una possibile ricostruzione alternativa degli eventi. A fronte di tale condotta processuale l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui non rileverebbe la tardiva deduzione, da parte dell’appaltatore, di ipotesi causali alternative rispetto a quella proposta dal committente, è intrinsecamente erronea, poiché in base al principio declinato dall’art. 115 c.p.c. il convenuto ha l’onere di contestare specificamente i fatti allegati dall’attore, i quali altrimenti si considerano riconosciuti.

Il principio ha portata generale, posto che “Nel processo di cognizione, l’onere previsto dall’art. 167 c.p.c., comma 1, di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese e di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, comporta che, esaurita la fase della trattazione, non è più consentito al convenuto, per il principio di preclusione in senso causale, di rendere controverso un fatto non contestato, né attraverso la revoca espressa della non contestazione, né deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte. Ne consegue che, in grado di appello, non è ammessa la contestazione della titolarità passiva del fatto controverso che debba aversi per non contestata nel giudizio di primo grado” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26859 del 29/11/2013, Rv. 629109). La contestazione dei fatti allegati dall’attore, dunque, è consentita soltanto nei termini previsti per il compimento delle attività processuali di cui all’art. 183 c.p.c., risultando invece preclusa, all’esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica di quanto già dedotto, argomentato o articolato (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 31402 del 02/12/2019, Rv. 656256). Ne consegue che la mancata tempestiva allegazione, da parte del R., di ipotesi causali alternative rispetto a quella dedotta dall’attore, non contestata dal convenuto in prima istanza, non poteva essere ritenuta in sé irrilevante dal giudice di merito, poiché idonea, almeno in astratto, ad integrare un profilo di non contestazione di uno dei fatti costitutivi della domanda risarcitoria in concreto azionata dalla parte attrice.

Infine appare erronea, come conseguenza di quanto sin qui esposto, anche l’ulteriore affermazione della Corte di merito, secondo cui la prova del nesso causa-effetto avrebbe dovuto essere fornita dall’attore, alla luce del principio secondo cui “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3373 del 12/02/2010, Rv. 611587; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15659 del 15/07/2011, Rv. 618664; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 826 del 20/01/2015, Rv. 634361). Il principio, applicabile anche in materia di appalto (in proposito, cfr. Cass. Sez. 6- 2, Ordinanza n. 98 del 04/01/2019, Rv. 652214, secondo la quale “In tema di inadempimento del contratto di appalto, spetta all’appaltatore, che agisca in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo, di provare l’esatto adempimento della propria obbligazione, ove il committente ne eccepisca l’inadempimento”) implica che, a fronte della contestazione di inadempimento sulla cui base si fondava la domanda risarcitoria proposta dal C., spettava al R. l’onere di fornire la prova del puntuale adempimento della propria obbligazione.

Da quanto esposto discende l’erroneità della prospettiva dalla quale prende le mosse, e lungo la quale si articola, la motivazione resa dalla Corte distrettuale.

Venendo all’esame del ricorso incidentale, proposto in via condizionata, con il primo motivo il R. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., perché la Corte territoriale avrebbe dovuto decidere la controversia allo stato degli atti, a fronte del mancato deposito, in grado di appello, dei fascicoli di parte del precedente grado di giudizio (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

Con il secondo motivo, invece, che si rivolge contro la decisione di prime cure, il ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 2697 e 1223 c.c., perché il Tribunale avrebbe ravvisato la prova del danno in assenza di idonea prova, sia sull’an che sul quantum.

Le due censure, che comunque attengono al merito della controversia, sono assorbite dall’accoglimento del ricorso principale. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà procedere ad un riesame dell’intera fattispecie, al fine di verificare se, a fronte della condotta rispettivamente tenuta dalle parti, sia prima che nel corso del processo di merito, si possano ravvisare profili di riconoscimento idonei ad incidere sul regime della prova e se, in ragione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio evidenziati in motivazione, sia possibile, o meno, ritenere conseguita la prova del danno del quale il C. ha invocato, con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, il risarcimento.

La sentenza impugnata va dunque cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Genova, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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