LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24758-2015 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 108, presso lo studio dell’avvocato BRUNO SCONOCCHIA, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURIZIO CINELLI;
– ricorrente –
contro
EQUITALIA SUD S.P.A., S.G.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 481/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 07/05/2015 R.G.N. 1997/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 481 del 2015, la Corte d’Appello di Salerno ha respinto l’impugnazione proposta dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (d’ora in avanti solo Cassa) nei confronti di Equitalia Sud s.p.a avverso la sentenza di primo grado che, per quanto ora di interesse, aveva, oltre a dichiarare prescritti i crediti contributivi pretesi con alcune intimazioni di pagamento dalla Cassa nei riguardi dell’avvocata S.G., rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla Cassa nei confronti del concessionario per la riscossione al fine di ottenerne la condanna al risarcimento del controvalore delle somme indicate nelle intimazioni di pagamento impugnate, asseritamente risultate prescritte a causa del mancato tempestivo adempimento da parte di Equitalia Sud s.p.a. di validi atti interruttivi della prescrizione, ovvero al pagamento in favore della Cassa di una somma a titolo risarcitorio da determinarsi in via equitativa.
Ad avviso della Corte territoriale l’appello, ammissibile sotto il profilo della sufficiente specificità e proponibile quanto alla estensione dell’oggetto della domanda principale, era infondato in ragione del fatto che l’appellante non aveva specificato se la domanda risarcitorìa proposta fosse di natura contrattuale o extracontrattuale. In ogni modo, venendo in rilievo la previsione dell’art. 1227 c.c. – secondo la quale il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza – il concessionario aveva illustrato adeguatamente gli elementi per i quali non poteva ritenersi maturata la prescrizione, per cui nessun dolo o colpa poteva ravvisarsi nella condotta dello stesso, fermo restando che la Cassa (quale creditore sostanziale) ben avrebbe potuto interrompere il termine di prescrizione come anche impugnare sul punto la sentenza sfavorevole emessa dal Tribunale, considerando anche che la Cassa aveva chiesto una pronuncia di elisione della contribuzione prescritta ai fini pensionistici.
Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione la Cassa sulla base di cinque motivi.
Non hanno opposto difese Equitalia Sud s.p.a. e l’avvocata S.G..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in maniera cumulativa (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)) la violazione e o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in quanto la sentenza impugnata non aveva tenuto conto del giudicato interno formatosi sulla prescrizione dei contributi pretesi, e (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)), la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione, là dove la Corte territoriale aveva escluso che il concessionario per la riscossione si trovasse in stato di dolo o colpa in ordine alla maturazione della prescrizione, traendo argomenti dalle difese spiegate per contrastare l’eccezione di prescrizione e senza considerare che sulla prescrizione era calato il giudicato interno. La motivazione, dunque, sarebbe connotata da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e cioè tra la statuizione relativa all’insussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito nella mancata adozione di atti interruttivi della prescrizione da parte del concessionario e la contestuale statuizione secondo cui il creditore avrebbe mancato dell’ordinaria diligenza nel non aver posto in essere autonomi atti interruttivi della prescrizione.
Con il secondo motivo si denuncia la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., u.c., in quanto la sentenza impugnata aveva negato il diritto al risarcimento del danno provocato dalla mancata riscossione del credito al concessionario per la riscossione, ai sensi dell’art. 1227 c.c., perché la Cassa avrebbe potuto con l’ordinaria diligenza provvedere a porre in essere autonomamente ulteriori atti interruttivi della prescrizione; tale affermazione, tuttavia, ad avviso della ricorrente, violerebbe i principi regolatori della disciplina del mandato dovendo attribuirsi al concessionario le caratteristiche giuridiche del mandatario, con la conseguenza che a quest’ultimo incombe l’obbligo di compiere tutti gli atti necessari ad assolvere al mandato con la diligenza del buon padre di famiglia (artt. 1708 e 1710 c.c.), mentre il mandante non ha altri obblighi rispetto a quelli previsti dall’art. 1719 c.c., né può sostituirsi al mandatario nel compimento degli atti dello stesso tanto più in caso mandato in rem propriam. Peraltro, doveva tenersi conto del fatto che, all’intero della procedura di riscossione prevista dal D.Lgs. n. 46 del 1999 doveva distinguersi la prescrizione dei contributi dalla prescrizione della cartella, unica oggetto dell’eccezione accolta, che solo il concessionario avrebbe potuto interrompere avendo la disponibilità del titolo esecutivo.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 1227 c.c., u.c. in relazione agli artt. 99,112 c.p.c. e art. 2907 c.c., in ragione del fatto che la Corte d’appello di Salerno aveva escluso il diritto al risarcimento del danno fatto valere dalla Cassa nei confronti del concessionario addebitando alla prima che avrebbe potuto impugnare la statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Salerno, dichiarativa dell’avvenuta prescrizione, senza considerare che la scelta di non impugnare, oltre che non integrare una mancanza di diligenza, rispondeva ad una legittima facoltà della parte stessa.
Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., u.c., in relazione agli artt. 1223 e 2043 c.c. perché non sussisterebbe nesso causale tra l’omessa impugnazione del capo relativo alla prescrizione dei contributi omessi e la verificazione del danno.
Il quinto motivo deduce, infine, la violazione dell’art. 1227 c.c., u.c., in relazione agli artt. 99,112 c.p.c. e art. 2907 c.c. in relazione all’affermazione della sentenza impugnata con la quale era stata ritenuta la responsabilità della Cassa nel non aver riproposto in appello la domanda subordinata avverso l’avvocata S. tendente ad ottenere la declaratoria di inefficacia della contribuzione prescritta ai fini dell’anzianità di iscrizione e contributiva.
I motivi sono tutti connessi dalla ratio adottata, coerente con la ricostruzione del rapporto esistente tra ente previdenziale e concessionario per la riscossione in termini di rapporto di mandato, e per tale ragione vanno trattati congiuntamente.
Va rilevata l’infondatezza del riferimento, nel primo motivo, al vizio di irriducibile contraddittorietà della motivazione.
Le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno sancito come l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016); si è così affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) ovvero che è nulla per mancanza – sotto il profilo sia formale che sostanziale – del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, oltre ad una consulenza tecnica, senza riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa (Cass. n. 7402 del 2017).
Nessuno di tali vizi si riscontra nella sentenza impugnata posto che, nella specie, non solo non si ravvisano, ma neppure sono state dedotte dalla ricorrente, affermazioni “irriducibilmente contraddittorie” o “inconciliabili” che rendano, per così dire, imperscrutabile il decisum del giudice di appello.
Non vi è oggettivamente alcuna logica contraddittorietà nell’affermare che non può pretendere di essere risarcito – in applicazione del disposto dell’art. 1227 c.c., comma 2 secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza – chi (nel caso di specie la Cassa) avrebbe potuto evitare con la impugnazione della sentenza di primo grado la determinazione del pregiudizio lamentato (definitività dell’accertamento della prescrizione del credito contributivo), salvo poi a verificare sul piano della correttezza della motivazione se ciò corrisponda alla corretta ricostruzione giuridica della fattispecie dedotta in causa.
I restanti motivi, connessi e per questo da trattare congiuntamente, sono infondati.
Essi risultano basati sul presupposto che, una volta inquadrato il rapporto tra concessionario ed ente previdenziale all’interno del generale schema giuridico del mandato (artt. 1703 c.c. e ss.), sarebbe giuridicamente insostenibile affermare, come ha fatto la sentenza impugnata, che la Cassa potesse adoperarsi al fine di impedire la prescrizione in pendenza della procedura di riscossione a mezzo ruolo esattoriale, disciplinata dal D.Lgs. n. 46 del 1999, e che l’aver omesso di compiere gli atti utili ad evitare la declaratoria di prescrizione possa in concreto integrare il comportamento contrario alla ordinaria diligenza che osta al risarcimento del danno ex art. 1227 c.c.
In ordine all’inquadramento sistematico del rapporto intercorrente tra l’ente previdenziale ed il concessionario per la riscossione, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016, ha avuto modo di precisare, al fine di vagliare la possibilità di fare applicazione del termine di prescrizione previsto per I’actio iudicati dall’art. 2953 c.c. nel caso di cartella non opposta, che il credito iscritto a ruolo ed oggetto di esecuzione esattoriale non perde la propria natura sostanziale di credito contributivo.
E’, dunque, quale necessario corollario di tale affermazione, da escludersi che l’ente perda la titolarità del credito contributivo e che, di conseguenza, a tutela del medesimo credito, non possa più adottare atti di interruzione del termine di prescrizione.
Le Sezioni Unite appena citate hanno pure precisato, quanto ai rapporti tra ente previdenziale creditore e concessionario per la riscossione che:
seppure il D.Lgs. n. 112 del 1999, per i minimi riferimenti espressi in esso contenuti alla riscossione dei contributi effettuata dagli Enti previdenziali (art. 22, comma 1, e art. 61), sia principalmente rivolto alla riscossione dei tributi, come risulta evidente ove si consideri che il Capo II del D.Lgs. n. 112 cit. che contiene i “Principi generali dei diritti e degli obblighi del concessionario” e la Sezione I di tale Capo (artt. da 17 a 21) disciplina i “Diritti del concessionario”, regolando il “Discarico per inesigibilità” all’art. 19 e la “Procedura di discarico per inesigibilità e reiscrizione nei ruoli” all’art. 20, tali ultimi due articoli contengono la disciplina più “qualificante” del riordino della riscossione – fiscale effettuato dal D.Lgs. n. 112 cit., sulla premessa dell’avvenuta eliminazione – ad opera del D.Lgs. n. 37 del 1999, art. 2, emanato in attuazione della stessa Legge di delega n. 337 del 1998, art. 1, lett. c), – del preesistente “obbligo del non riscosso come riscosso”, in base al quale a carico dell’esattore prima e del concessionario poi gravava l’onere di versare alle prescritte scadenze all’ente impositore l’ammontare pro rata dei crediti iscritti a ruolo, anche se non pagati dal debitore (D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 32, comma 3);
l’abolizione di tale obbligo ha portato ad un incisivo mutamento dei rapporti tra l’ente impositore e l’agente della riscossione, nel senso che a decorrere dal 1999 quest’ultimo non è dunque più tenuto a riversare all’ente impositore le somme eventualmente corrispondenti ai ruoli trasmessi, ma deve versare soltanto ciò che effettivamente riesce a riscuotere, tempo per tempo e ciò attraverso la “procedura di discarico per inesigibilità” disciplinata dal menzionato D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19 e ss.;
in base all’art. 19, al di là delle ipotesi in cui opera il discarico automatico, che sono proprio quelle per le quali l’art. 61, del decreto stabilisce espressamente l’applicabilità della relativa disciplina (di cui all’art. 60, commi da 1 a 3) “ai ruoli degli enti previdenziali”, l’agente della riscossione o il concessionario per poter ottenere il discarico delle “quote iscritte a ruolo” indicate nella comunicazione di inesigibilità inviata all’ente creditore, è tenuto a fornire a tale ente la prova della correttezza del proprio operato;
nel successivo art. 20, il legislatore ha introdotto una procedura con la quale l’ente creditore può svolgere il proprio controllo sull’operato dell’agente della riscossione nel recupero della quota.
Da tale complessa disciplina si deve trarre il convincimento che la procedura di riscossione dei crediti contributivi disciplinata dal D.Lgs. n. 46 del 1999, mantenendo esplicitamente la funzione di controllo dell’ente creditore sull’operato del concessionario nell’attività di riscossione della quota, non autorizza in alcun modo a ritenere che il medesimo l’ente non sia nella condizione giuridica di interrompere con propri atti la prescrizione del credito medesimo o, come nel caso di specie, di contrastare l’iniziativa del debitore che tale prescrizione intenda far valere.
Dunque, è da escludersi che sia inibito all’ente previdenziale di porre in essere l’attività necessaria ad evitare l’estinzione dei crediti, restando intatta la responsabilità connessa al corretto andamento dell’attività di rilevanza pubblicistica connessa alla gestione previdenziale.
Peraltro, Cassazione n. 27218 del 2018, in fattispecie analoga alla presente sempre relativa alla Cassa ricorrente, ha osservato che l’affidamento in riscossione, ai sensi di legge e secondo le modalità previste per le imposte dirette (L. n. 576 del 1980, art. 18, comma 5, seconda parte in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973) comporta, per un verso, la preposizione del concessionario quale adiectus solutionis causa (art. 1188 c.c.) e per altro verso assume i contenuti propri del mandato, con rappresentanza ex lege, a compiere quanto necessario perché il pagamento possa avvenire, in forma spontanea, oppure anche a dare corso alle azioni esecutive secondo la disciplina propria dell’esecuzione forzata speciale.
Il diligente e tempestivo compimento degli atti esecutivi di tale complesso mandato è in sé in grado di comportare la salvaguardia del diritto rispetto all’estinzione per prescrizione e dunque anche l’assicurazione di tale effetto rientra a pieno titolo, ai sensi dell’art. 1710 c.c., nell’ambito della responsabilità del concessionario incaricato.
Non potendosi in alcun modo dubitare che gli atti posti in essere dal mandatario, rappresentante ex lege, rispetto alla riscossione del credito, siano idonei al perseguimento degli effetti di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c..
Tuttavia, da tali considerazioni non può discendere, come pretende la ricorrente, la estraneità dell’ente creditore alle sorti del credito contributivo di cui rimane comunque titolare e la irrilevanza della propria condotta a tutela del credito stesso.
Essa invece può rilevare là dove, come nel caso di specie, la concreta vicenda inerente all’incarico di riscossione, mostri possibili elementi di colpa concorrente, rilevanti ex art. 1227 c.c., in capo all’ente mandante.
Dunque, nessun errore di diritto ha commesso la sentenza impugnata nel ritenere operante, anche all’interno della procedura di riscossione esattoriale il disposto dell’art. 1227 c.c., comma 2.
Per giurisprudenza di legittimità costante, inoltre, i giudizi discendenti dall’art. 1227 c.c., integrano giudizi di fatto e, come tali sono sottratti al sindacato di questa Corte (in relazione al giudizio ex art. 1227 c.c., comma 1, si v. Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 842 del 17/1/2020; Cass. 3, Sentenza n. 24204 del 13/11/2014; in relazione alla diversa fattispecie prevista dall’art. 1227 c.c., comma 2, si v. Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 3319 dell’11/2/2020).
Da ciò discende che non è comunque sindacabile in questa sede di legittimità, né risulta validamente denunciato un simile vizio, l’accertamento in fatto eseguito dalla Corte d’appello di Salerno in ordine alla non rispondenza della condotta della Cassa (relativamente alla mancata adozione di propri atti interruttivi ed alla scelta di non impugnare la sentenza di primo grado di accertamento della prescrizione) al canone di ordinarla diligenza con conseguente non risarcibilità, anche per tale via, del danno asseritamente derivante dalla prescrizione del credito contributivo.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità in mancanza di attività difensiva da parte degli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R. ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2021
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