Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32808 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15368/2016 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dagli avvocati ANGELO LUMINOSO, ALBERTO LUMINOSO;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO *****, C.M.F., M.A., CA.RA., R.M., F.LLI A. S.N.C. IN LIQUIDAZIONE, CO.MA.RO., CO.GU.WA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 327/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 15/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. P.G. ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 327/2015 della Corte d’appello di Cagliari pubblicata il 15 maggio 2015.

2. Gli intimati Condominio *****, C.M.F., M.A., Ca.Ra., R.M., F.lli A. s.n.c., Co.Ma.Ro. e Co.Gu.Wa. non hanno svolto attività difensive.

3. La Corte d’appello di Cagliari ha respinto l’impugnazione ex art. 1137 c.c., formulata dal condomino P.G. con riguardo alla Delib. assembleare approvata dal Condominio ***** il 29 ottobre 1998, avente ad oggetto l’autorizzazione data alla condomina C. per la installazione di due motori delle pompe di calore sulla terrazza di copertura del fabbricato. I giudici di secondo grado hanno negato che il P. avesse dimostrato, sia pure in via incidentale, di essere proprietario esclusivo della terrazza sovrastante il fabbricato condominiale, e ciò valutando sia l’acquisto a titolo derivativo in forza dell’atto di divisione del 19 novembre 1965 (da cui risultava la proprietà condominiale del bene), non avendo rilievo i successivi atti traslativi allegati, sia la dedotta usucapione decennale, avendo l’attore acquistato l’appartamento con atto del 19 febbraio 1998 ed essendo il presente giudizio iniziato il 26 novembre 1998, in carenza peraltro di prova del possesso dei danti causa.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

5. Il primo motivo di ricorso di P.G. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115,116 c.p.c. e degli artt. 948, 9489, 1117 e 2697 c.c.. Il ricorrente espone di aver prodotto il titolo di acquisto della sua proprietà esclusiva (atto di compravendita da Mo.Gi. del 19 febbraio 1998), comprensiva dell’appartamento e della terrazza, risalendo in via derivativa tramite gli altri titoli fino all’atto S., Ma., C.O.R.I. s.r.l. del 21 ottobre 1982, ovvero all’atto di acquisto in favore della C.O.R.I. s.r.l. del 9 dicembre 1980. Non sarebbe sufficiente a provare la proprietà condominiale, come invece ritenuto dalla Corte d’appello, l’atto di divisione del 1965, peraltro non prodotto dal Condominio *****. Il ricorrente rammenta, pertanto, i principi in tema di onere della prova in materia di divisione ed esclude di essere egli tenuto a fornire prova di un valido titolo di acquisto della terrazza a livello di pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano dell’edificio.

Il secondo motivo di ricorso di P.G. lamenta la violazione degli artt. 112,113,115,116 c.p.c. e degli artt. 1140, 1141, 1142, 1143, 1144, 1147, 1159, 1165, 1167, 1168, 1170, 2943 c.c., per aver la Corte d’appello escluso che, ai fini dell’usucapione dedotta dall’attore in via subordinata, potesse computarsi il possesso esercitato durante il corso di giudizio, avendo riguardo come dies ad quem al giorno della notificazione della citazione di primo grado (26 novembre 1998) e considerando come in esecuzione della Delib. assembleare 29 ottobre 1998, erano poi state installate sulla terrazza in contesa le pompe di calore al servizio dell’abitazione della condomina C., mentre non risultava alcun utilizzo della terrazza dopo l’inizio del giudizio. La censura nega valenza interruttiva dell’usucapione alle contestazioni mosse dalla difesa del convenuto Condominio, come all’attuazione data alla Delib. impugnata, ed espone come fosse stata dedotta dall’attore la permanente chiusura della porta di accesso alla terrazza. In particolare, si assume che tale circostanza fosse stata allegata nella memoria ex art. 183 c.p.c. del 6 aprile 2000 e poi nella comparsa conclusionale, essendo fatto pacifico fra le parti, come risultante alla comparsa di costituzione del convenuto, l’esercizio del possesso esclusivo della terrazza, altresì accertato da sentenza della Corte d’appello di Cagliari del 2 maggio 2014 passata in giudicato.

Il terzo motivo di ricorso di P.G. assume la violazione degli artt. 1140,1141,1142,1143,1144,1146,1147,1159 c.c., contestandosi l’affermazione della Corte d’appello secondo cui, agli effetti dell’art. 1146 c.c., risultava che per i dieci anni anteriori all’acquisto del P. i proprietari dell’appartamento dell’ultimo piano non avessero utilizzato uti domini la terrazza, piuttosto utilizzata anche dagli altri condomini, come appreso dalle testimonianze m., Mu. e Mo.. Il ricorrente evidenzia che secondo i testimoni i precedenti proprietari chiudevano la porta di accesso alla terrazza, impedendo agli altri condomini di entrare, e concedevano l’accesso solo per motivi di tolleranza, o al più per esercitare servitù limitate allo stendere i panni, prelevare acqua, installare antenne.

6. Va premesso che, nel giudizio di impugnazione avverso una Delib. assembleare, ex art. 1137 c.c., quale quello esame, la questione della titolarità comune o individuale di una porzione dell’edificio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., può formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della sola causa sulla validità dell’atto collegiale ma privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli, svolgendosi il giudizio ai sensi dell’art. 1137 c.c., nei confronti dell’amministratore del condominio, senza la partecipazione quali legittimati passivi di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 21/02/2020, n. 4697; Cass. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612). Perché la questione della proprietà condominiale, e non esclusiva, della terrazza, sul quale aveva inciso la Delib. 9 ottobre 1998 impugnata, potesse assumere la forza del giudicato, sarebbe occorsa la “esplicita domanda di una delle parti”, necessaria, ai sensi dell’art. 34 c.p.c., per la trasformazione della questione pregiudiziale in causa pregiudiziale, ed eventualmente desumibile anche dalla semplice richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini (arg. da Cass. Sez. 3, 02/08/2000, n. 10130; Cass. Sez. 3, 06/02/1982, n. 696).

7. Il primo motivo di ricorso è del tutto infondato.

Una terrazza a livello, come quella oggetto di lite, per quanto accertato in fatto (ovvero la superficie scoperta dell’edificio condominiale, posta al sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante, destinata a coprire una parte di fabbricato nonché a dare possibilità di affaccio, di espansione e di ulteriore comodità all’appartamento del quale è contigua), deve “presumersi” bene di proprietà condominiale, ex art. 1117 c.c., giacché, svolgendo la medesima funzione del lastrico solare, è necessaria all’esistenza stessa del fabbricato; né osta a tale conclusione la circostanza che ad essa si acceda da un appartamento contiguo al cui servizio pertinenziale la terrazza è destinata, non pregiudicando tale destinazione i diritti dei condomini sulla cosa comune, ex art. 819 c.c., neppure essendo il regime di comunione escluso dal solo fatto che uno o più comproprietari traggano dal bene utilità maggiori rispetto ad altri ed occorrendo, al contrario, che la deroga all’attribuzione legale al condominio, con assegnazione della terrazza a livello in proprietà od uso esclusivi, risulti da uno specifico titolo, mediante espressa disposizione nel negozio di alienazione, ovvero mediante un atto di destinazione del titolare di un diritto reale, a prescindere dalla natura reale o personale del diritto così costituito (cfr. Cass. Sez. U., 07/07/1993, n. 7449; Cass. Sez. 2, 23/08/2017, n. 20287; Cass. Sez. 6 – 2, 14/09/2017, n. 21340; Cass. Sez. 2, 06/09/2019, n. 22339).

Ove la terrazza a livello non risulti perciò destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari e debba perciò applicarsi l’art. 1117 c.c., bisogna considerare che tale norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali.

La presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all’uso comune della “res”, sia nell’attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta “probatio diabolica”. Ne consegue che quando un condomino, come nella specie il P., pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell’art. 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, onde vincere tale ultima presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o dei propri danti causa (come erroneamente suppone il primo motivo di ricorso), ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio.

Ne’ il ricorso, né per la verità la sentenza impugnata (che fa riferimento alla nota di trascrizione dell’atto di divisione del 1965), individuano inequivocamente l’atto con cui si operò il frazionamento della proprietà dell’edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, con ciò dando luogo alla situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 c.c. e segg., con conseguente presunzione legale ex art. 1117 c.c., di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio (Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766). Sorta la comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate nell’art. 1117 c.c., per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale è opponibile ai terzi dalla data dell’eseguita formalità (Cass. Sez. 2, 09/12/1974, n. 4119).

Era quindi da accertare nel titolo originario una eventuale chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al costruttore o comunque all’iniziale unico proprietario dell’edificio la proprietà della terrazza a livello, di modo che lo stesso avrebbe poi potuto validamente disporre del bene. La mancata prova al riguardo resta a carico del P., lui pretendendo l’appartenenza esclusiva di un bene compreso tra quelli elencati dall’art. 1117 c.c.: in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l’appartenenza del suddetto bene indistintamente a tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852; Cass. Sez. 2, 07/05/2010, n. 11195; Cass. Sez. 2, 18/04/2002, n. 5633; Cass. Sez. 2, 15/06/2001, n. 8152; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4953).

8. Secondo e terzo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, giacché connessi, e si rivelano infondati.

8.1. La Corte d’appello di Cagliari ha negato che la proprietà esclusiva della terrazza potesse spettare al P. a titolo di usucapione, perché:

a) alla data di inizio del giudizio (26 novembre 1998), il P. non aveva maturato il decorso decennale dalla data della trascrizione del proprio acquisto, necessario per l’usucapione ex art. 1159 c.c.;

b) non veniva utile per l’usucapione il tempo del giudizio di primo grado, giacché, in esecuzione della Delib. assembleare 29 ottobre 1998, erano state installate sulla terrazza le pompe di calore;

c) non risultava alcun uso della terrazza dopo l’inizio del giudizio;

d) ai fini dell’accessione nel possesso ex art. 1146 c.c., comma 2, non risultava provato il possesso esclusivo della terrazza ad opera dei danti causa già proprietari dell’appartamento dell’ultimo piano, stando alle testimonianze m., Mu. e Mo..

8.2. Gli argomenti a) e b) della motivazione della Corte d’appello vanno corretti, senza che tuttavia ciò importi la cassazione della sentenza, restando conforme a diritto il dispositivo della sentenza impugnata.

8.2.1. Riguardo al punto a), va affermato che il decorso del tempo del possesso necessario ai fini dell’acquisito per usucapione costituisce condizione di fondatezza dell’azione fatta valere, e pertanto occorre verificare se esso sia compiuto al momento della decisione, e non già al momento della proposizione della domanda.

8.2.2. Riguardo al punto b), è agevole considerare che per l’usucapione è richiesto un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, accompagnato dall’animo di tenere la cosa come propria, che si protragga per il tempo previsto dalla legge. Il requisito della continuità, necessario per la configurabilità del possesso “ad usucapionem” (art. 1158 c.c.), si fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla res. La continuità si distingue, pertanto, dall’interruzione del possesso, giacché per la prima rileva unicamente il comportamento del possessore, e non già la volontà contraria del proprietario, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che privi il possessore del possesso (interruzione naturale) o dall’attività del titolare del diritto reale, il quale compia un atto di esercizio del diritto medesimo (Cass. Sez. 2, 13/12/1994, n. 10652; Cass. Sez. 2, 17/07/1998, n. 6997; Cass. Sez. 2, 09/10/2003, n. 15092).

I mezzi che la legge appresta al titolare del diritto per interrompere l’usucapione sono quelli indicati nell’art. 2943 c.c., richiamato dall’art. 1165 dello stesso codice, e, conseguentemente, non può attribuirsi efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, anche se manifestino la volontà di conservare il diritto, quali, nella specie, l’esecuzione data ad una delibera dell’assemblea condominiale o anche l’esercizio dell’attività difensiva del convenuto, diretta a contestare semplicemente l’altrui possesso ed a conseguire il rigetto della domanda dell’attore, seppur avente per oggetto l’accertamento giudiziale della inefficacia del titolo di acquisto dello stesso convenuto (cfr. Cass. Sez. 2, 11/06/1963, n. 1546; Cass. Sez. 2, 21/06/1995, n. 7028; Cass. Sez. 2, 01/04/2003, n. 4892).

8.3. I punti c) e d) di cui sopra sono comunque sufficienti a giustificare l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso.

La Corte di Cagliari ha spiegato che non c’era prova del possesso esclusivo della terrazza da parte del P. dopo l’inizio del giudizio, né da parte dei suoi danti causa ai fini dell’accessione ex art. 114 c.c., comma 2.

E’ noto che il condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall’uso del bene comune, ed occorre piuttosto allegare e dimostrare di aver goduto del bene stesso attraverso un possesso esclusivo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza opposizione, per il tempo utile ad usucapire. Ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione del bene condominiale occorre, dunque, un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva (ex multis, Cass. Sez. 2, 09/04/1990, n. 29449).

E’ noto come l’accertamento relativo al possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. 2, 21/02/2007, n. 4035; Cass. Sez. 2, 07/07/2000, n. 9106). A norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita nel giudizio di legittimità. Nonostante le rubriche del secondo e del terzo motivo di ricorso denuncino un vizio di violazione e falsa applicazione di molteplici norme di diritto, il loro contenuto espositivo non prospetta un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle richiamate norme di diritto, ma allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A base delle censure c’e’ una ricostruzione fattuale opposta a quella prescelta dalla Corte di Cagliari, secondo cui la terrazza in questione era rimasta nel possesso esclusivo del P. e dei suoi danti causa, essendo venuto meno ogni utilizzo comune da parte degli altri condomini, se non nei limiti di una mera tolleranza o nell’esercizio di facoltà di godimento comunque parziali, ciò involgendo accertamenti di fatto non svolti nelle pregresse fasi di merito e non deducibili in cassazione sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Se tener chiusa la porta di una terrazza a livello condominiale che abbia accesso da un appartamento di proprietà esclusiva costituisca, o meno, atto integrante un comportamento tale da evidenziare un possesso esclusivo “animo domini” della cosa, incompatibile con il permanere di quello altrui sulla stessa, costituisce apprezzamento non sindacabile in sede di legittimità se non quale omesso esame di un fatto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ne’ il “possesso esclusivo” di un terrazza, che costituisce valutazione giuridica di una relazione tra il soggetto e la cosa, può formare oggetto della “non contestazione” (principio, peraltro, codificato con la modifica dell’art. 115 c.p.c. introdotta dalla L. n. 69 del 2009 e qui perciò invocabile, piuttosto, in forza dell’art. 167 c.p.c.), la quale attiene ai soli fatti obiettivi da accertare nel processo e non alla loro qualificazione, che appartiene sempre al potere-dovere del giudice.

Del resto, il ricorrente si limita a sostenere a pagina 23 del ricorso che la chiusura delle porta e l’esercizio del possesso esclusivo erano state dedotte nella memoria ex art. 183 c.p.c. del 6 aprile 2000, nella comparsa conclusionale di primo grado e nell’atto di appello, ma il principio di non contestazione, con conseguente “relevatio” dell’avversario dall’onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa nell’atto introduttivo della lite, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione, dando poi di ciò indicazione specifica nel ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Non è infine deducibile in cassazione la violazione di un giudicato esterno (quello contenuto nella sentenza 2 maggio 2014 della Corte d’appello di Cagliari) che si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la cui esistenza non risulta ivi eccepita dalla parte interessata. D’altro canto, il cenno fatto a tale giudicato a pagina 24 di ricorso non osserva la specificità dell’indicazione dell’atto imposta dall’art. 336 c.p.c., comma 1, n. 6.

9. Il ricorso va perciò rigettato, non dovendosi regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto gli intimati non hanno svolto attività difensive.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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